Tecniche della critica letteraria by Ezio Raimondi

Tecniche della critica letteraria by Ezio Raimondi

autore:Ezio Raimondi [Raimondi, Ezio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Critica letteraria
ISBN: 88-06-03578-X
editore: Einaudi
pubblicato: 1983-03-14T23:00:00+00:00


Tecniche e strutture narrative

Quantunque, come qualcuno ha osservato, il romanzo rischi di diventare «un sujet de discussion anodin», il dibattito sulle forme narrative occupa più che mai la scena letteraria: e in Italia anzi sembra suscitare soltanto ora, con le nuove generazioni critiche, un interesse puntiglioso e vorace, a cui l’industria culturale («la nostra società ha bisogno del mito del romanzo...») aggiunge anche i favori della moda. Ne fanno fede, tra l’altro, Certi romanzi di Alberto Arbasino (1964), oppure i dialoghi del Gruppo ’63 per Il romanzo sperimentale (1966); e infine il libro di Marina Forni Mizzau, Tecniche narrative e romanzo contemporaneo (1965), che poi ferma decisamente l’attenzione sui problemi tecnici del racconto e sul loro fondamento logico-psicologico, con richiami che vanno da Heidegger e Dewey a Robbe-Grillet, a Butor, alla Sarraute. Una volta, però, che si sia riconosciuto come «il destino dell’artista stia, in ultima analisi, nella sua tecnica», secondo le parole di Heimito von Doderer, occorre anche uscire dalle prospettive di una poetica determinata, e perciò sempre tendenziosa, per enucleare delle categorie comuni, deducibili dall’osservazione impregiudicata dei testi, dei codici narrativi. E per intanto, in termini più circoscritti giova prendere contatto con alcuni tentativi critici che muovono in questa direzione, e donde può venire sin d’ora, positivo o negativo, più di un chiarimento.

Uno dei punti fermi che reggono i garbati capitoli di Tecniche narrative e romanzo contemporaneo, è mutuato da un saggio di Mark Schorer, ormai classico nel suo genere, Technique as Discovery (lo si può leggere tanto nell’antologia di W. V. O’Connor, Forms of Modern Fiction, quanto in quella di J. W. Aldridge, Critiques and Essays on Modern Fiction), dove la tecnica narrativa, per L’appunto, viene intesa come l’equivalente di ciò che Eliot chiama convenzione: «ogni selezione, struttura o deformazione, ogni forma o ritmo imposto al mondo dell’azione; per mezzo di cui, è da aggiungere, la nostra comprensione del mondo dell’azione si arricchisce o si rinnova». Tutt’altro che insolita, del resto, nella cultura anglosassone, poiché basterebbe rammentare la letteratura come istituzione di Harry Levin, questa idea si ritrova anche in un grosso e importante volume di W. C. Booth, The Rhetoric of Fiction, apparso nel 1961; ma qui il concetto di tecnica si trasforma, o meglio si precisa in retorica del racconto, in teoria del romanzo essenzialmente legata agli «strumenti retorici» di cui, consapevole o meno, il narratore si serve sempre per imporre al lettore il proprio mondo di parole. Del resto, in polemica con l’oggettivismo temporale sartriano, era già occorso a Jean-Louis Curtis di osservare che «lire un roman c’est avoir conclu un accord tacite avec le romancier».

L’analisi del Booth, le cui premesse teoriche sono da ricercare, sembra, nel neo-aristotelismo del Crane e della cosiddetta scuola di Chicago, parte dalla distinzione, per molti canonica, di telling e showing, dimostrando subito che a esaminarla più da presso, essa appare insostenibile: come diventa insostenibile la formula della drammatizzazione, mediante «un centro di coscienza», quale la enunciò da jamesiano il Lubbock di The Craft of Fiction, qualora si pretenda



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